Genova. Il ponte Morandi potrebbe essere crollato per il cedimento del cassone dopo le percolazioni di acqua che avrebbero corroso i cavi interni. Il cassone è il tunnel sottostante l’impalcato, il manto stradale. Secondo quanto emerso dalle indagini, i cassoni non venivano ispezionati dal 2013.
L’ipotesi sulla possibile causa della tragedia del 14 agosto 2018, in cui persero la vita 43 persone, viene fatta da uno degli indagati per cui il Riesame ha accolto la richiesta di interdizione per 12 mesi, insieme ad altre nove persone nell’ambito dell’indagine sui falsi report sui viadotti.
Le mancate ispezioni, secondo il pubblico ministero Walter Cotugno, venivano indicate come avvenute e portavano a dare determinati voti alle parti dei viadotti. Voti, è quanto sostiene l’accusa, non corrispondenti al reale stato di salute delle infrastrutture evitando così gli interventi di risanamento. Tutti in Spea sapevano e anche in Aspi, sostengono gli inquirenti.
È il 25 gennaio 2019 e gli investigatori intercettano Marco Vezil (di Spea) e Carlo Casini (responsabile della sorveglianza dell’Utsa Genova dal 2009 al 2015). A fare l’ipotesi, si legge nelle carte dell’inchiesta, è Casini: «…O che il cassone ha mollato, perché metti che le campane, metti la sfiga che sulle campane ci percolava dell’acqua che entra in soletta, te l’hanno corroso, vum (ndr, rumore onomatopeico con cui Casini simula il crollo del ponte) ha mollato subito, mollando subito è venuto giù perché… certo che se effettivamente… lo strallo… perché che cosa può essere successo? Può essere successo che, ad un certo punto, il cassone comprimeva e ad un certo punto ha mollato!». Vezil, prova a ipotizzare una difesa e risponde: «però lì siamo deboli perché non andavano, nel cassone….». E Casini conferma: «non potevano andarci» gli ispettori di Spea.
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