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Il referendum consultivo sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, noto come Brexit, ha avuto luogo il 23 giugno 2016 e si è concluso con voto favorevole all’uscita dall’Unione Europea con il 51,89% dei si.

Dopo il referendum, il Regno Unito ha iniziato le pratiche di uscita dall’Unione Europea, appellandosi all’Articolo 50 del trattato sull’Unione Europea. Questi prevede un meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un paese dall’UE. Il paese deve quindi notificare tale intenzione al Consiglio Europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità di recesso di tale paese.

Il paese appellatosi all’Articolo 50, in questo caso il Regno Unito, ha tempo due anni per formulare un accordo (che deve essere approvato sia dal Parlamento europeo che dal Parlamento britannico) che stabilisca un nuovo quadro legislativo, commerciale ed economico.

Questi due anni stanno però per concludersi, invero, il Regno Unito ha tempo fino al 29 marzo 2019 per presentare il nuovo “Deal”. Qualora questo accordo non venisse trovato, il Regno Unito sarà comunque ufficialmente fuori dall’Unione Europea.

Theresa May, Primo ministro del Regno Unito dal 13 luglio 2016, ha formulato il suo accordo lo scorso novembre. Tuttavia, alcuni membri della maggioranza ultra-conservatori hanno rifiutato la soluzione da lei proposta.

Il problema concerne il confine irlandese, il “backstop”, di fatto la proposta di Theresa May consiste nel lasciare l’Irlanda del Nord dentro il mercato europeo, al fine di evitare il conseguente “confine rigido” con l’altra Irlanda. Ad oggi, non esiste un confine fisico tra le due irlande, poiché fanno entrambe parte dell’Unione Europea, per questo motivo sia Theresa May che il Parlamento europeo vogliono evitare che l’uscita del Regno Unito sia motivo di nuovi scontri, scaturiti da una forte tensione di carattere economico, commerciale e religioso (le tensioni avevano di fatto dato avvio ad una serie di scontri sanguinosi conclusosi solo nel 1998). Al contrario, gli ultra-conservatori vogliono il “confine rigido” poiché temono un riavvicinamento tra Irlanda del Nord e l’altra Irlanda, di conseguenza ritengono necessario riaprire le trattative con l’Unione Europea.

Se il Regno Unito non riesce a trovare un accordo, uscirà dall’Unione Europea con il “no deal”, questo significa un disastro economico e commerciale. Domani si voterà in Parlamento britannico l’approvazione del “deal” di Theresa May, ma c’è una grande possibilità che questi non ottenga la maggioranza sperata.

Theresa May utilizza la minaccia dell’Hard Brexit, il blocco temporaneo degli scambi con conseguenti disagi nel regno Unito (conseguenza delno deal”), per spingere all’accettazione del Deal se non addirittura ad una cancellazione della Brexit. La May usa quest’arma contro l’opposizione interna ed esterna, minacciando di scaricare su di loro la responsabilità del caos. Viceversa l’opposizione interna cerca di scaricare la pistola mostrando come il Brexit duro non sarebbe così disastroso come vogliono farlo passare, anzi sarebbe l’unico modo per riprendere il controllo dell’economia e delle frontiere.

Per superare lo stallo, il Regno Unito ha solo tre soluzioni: che il leader dell’opposizione chiami alle elezioni sfiduciando Theresa May; che venga fatto un secondo referendum, soluzione che non verrà mai accettata dal Primo Ministro britannico, poiché significherebbe che la politica non è riuscita a rispondere alle necessità degli elettori, sarebbe quindi una sconfitta del processo democratico; ed infine, proprio rinunciare alla Brexit.

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