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Sanremo. «I pregiudizi sono invisibili e si muovono ovunque, come quelle minuscole particelle che, al mattino scorgiamo in controluce dalla finestra illuminata. Ci dobbiamo fermare a osservarle, reclinando la testa e cercando la giusta posizione, per accorgerci che si muovono intorno a noi. L’aria ne è piena. Appaiono innocue ma fanno male. Non permettono di respirare». Il magistrato Paola Di Nicola, spiega in questo modo la realtà dei pregiudizi, che spesso sono così culturalmente inculcati che anche le persone più sensibili e preparate non ne sono esenti. Tra i pregiudizi quello contro le donne «ha la prerogativa di appartenere all’intera umanità». Ne parleremo oggi alle ore 16.30 ricordando la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne in collaborazione con lo Zonta Club Sanremo, inserito nel ciclo “La Cultura della Legalità”. Lo faremo con il magistrato Paola Di Nicola attraverso le pagine del suo ultimo libro: “La mia parola contro la sua. Quando il pregiudizio è più importante del giudizio” (Harper Collins). Gli incontri sono inseriti nel piano di Formazione dei Docenti e dei giornalisti.

«Le donne mentono sempre». «Le donne strumentalizzano le denunce di violenza per ottenere benefici». «Se l’è cercata». «Le donne usano il sesso per fare carriera». «Ma tu com’eri vestita?». Questi sono solo alcuni dei pregiudizi che la nostra società ha interiorizzato. Pregiudizi volti a neutralizzare la donna e a perpetuare una sudditanza e una discriminazione di genere in ogni settore, soprattutto in quello giuridico, che è il settore determinante perché tutto possa rimanere come è sempre stato. Viviamo immersi in questi pregiudizi. Ogni nostro gesto, parola, azione deriva da un’impostazione acquisita per tradizione, storia, cultura, e neanche i giudici ne sono privi. Con la sua attività di magistrato, Paola Di Nicola ha deciso di affrontare il problema dalle aule del tribunale, ovvero dal luogo in cui dovrebbe regnare la verità e invece troppo spesso regna lo stereotipo. Se impariamo a guardare il mondo con lenti di genere, si apriranno nuovi spiragli, nuovi colori e nuove strade, e allora impareremo che una civiltà senza violenza può esistere, che l’armonia fa parte di noi, che uomini e donne possono stare l’uno al fianco dell’altra con amore e valore, che il nostro modo di parlare può essere più limpido, pulito e chiaro, che il silenzio dei complici si chiama omertà ed è un muro che va abbattuto.

Risponde la dott.sa Di Nicola alla domanda quanto pesano i pregiudizi di genere in tribunale: «Il Tribunale non è un luogo separato dalla realtà culturale e sociale in cui opera, ma è la sua ulteriore ed ennesima rappresentazione. Da questo consegue che se nel contesto in cui vivono e lavorano i giudici, le forze dell’ordine, gli avvocati, i testimoni, le vittime e gli imputati esistono pregiudizi e stereotipi nei confronti delle donne, a partire da quello più diffuso secondo cui le donne sono esagerate ed isteriche, questi entreranno inevitabilmente anche nell’aula di giustizia, si replicheranno e rischieranno di ridimensionare il racconto di chi ha subito violenza maschile. D’altra parte il contesto sociale e culturale, a livello planetario, ha sempre tollerato la violenza maschile contro le donne. Pensiamo alla naturalità con cui ogni donna subisce molestie sull’autobus o in discoteca, barzellette sessiste a scuola, battute mortificanti sul proprio genere nei luoghi di lavoro, fino a vere e proprie violenze. Sono atti ovviamente ben diversi gli uni dagli altri, ma diffusissimi e quotidiani e tutti volti a ridimensionare e ridicolizzare il genere femminile. Tutto avviene in gran parte senza generare alcuna reazione e questo chi abusa lo sa. Ce lo dice l’ISTAT: il 93% delle donne che subiscono violenza non denuncia. Se reagiamo invece tutto intorno a noi ci dice che forse non abbiamo capito lo scherzo, che siamo esagerate. E noi alla fine arriviamo a pensare che forse è proprio così, ce ne convinciamo e taciamo. Da qui inizia il pregiudizio che entra nelle aule di giustizia nei pochissimi casi in cui si rompe il proprio silenzio. (letture.org)»

Paola Di Nicola è nata nel 1966 a Offida, in provincia di Ascoli Piceno. Figlia di un noto magistrato antiterrorismo, la sua “guida ingombrante ” come lo definisce nel libro La giudice, cresce circondata dai colleghi del padre, che frequentano la sua casa gustando il timballo di scrippelle della madre e che, in alcuni casi, sono morti sotto il piombo della mafia e del terrorismo “per rendere la nostra una democrazia compiuta“. L’esperienza vissuta in famiglia, all’ombra dell’unico modello possibile di magistrato, quello maschile, la spinge a percorrere le orme paterne non immaginando che l’uniforme da magistrato “potesse cambiare da uomo a donna “.

Oggi Paola Di Nicola lavora al Tribunale Penale di Roma ed ha alle spalle l’esperienza da pretore in ambito di diritto civile, diritto penale e diritto del lavoro e di giudice nelle materie civili, delle esecuzioni immobiliari e penali. Si è inoltre occupata della formazione dei magistrati del Lazio e tra il 2009 e il 2010 ha presieduto il Collegio, appositamente costituito presso il Tribunale di Napoli, per l’emergenza rifiuti in Campania. Ha pubblicato sulle riviste specializzate numerosi provvedimenti giudiziari in materia d’immigrazione, ambiente, urbanistica, reati contro le donne.

Con il libro “La Giudice: una donna in magistratura“, un libro a metà strada tra la biografia e la storia collettiva delle donne in magistratura, ha fatto il suo esordio letterario. Ora con “La mia parola contro la sua” allarga l’orizzonte dello sguardo su quanto sia ancora lontana una vera cultura sulla parità di genere.

L’appuntamento con i Martedì Letterari è per il 7 gennaio 2020.

c.s.

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